venerdì 14 luglio 2017

la barca

D quasi un giorno sì e uno no, mi mandava una barca fotografata, voleva che gli dessi il mio parere, sapere se, secondo me, andava bene per andarci a vivere. Io gli dicevo, Sì, però ti devi prendere il coso, quello per imparare a navigare. Lui diceva, Quello poi si prende, è un problema secondario. Invece secondo me non era secondario, ma lasciamo stare. All'inizio io ci credevo, a questa cosa dei barconi, poi è diventata talmente una cosa simbolica, che si è capito che scegliere la barca per andarci a vivere, non era per andarci a vivere, era più per sopravvivere. Allora non gli ho più detto niente, del brevetto. Ho cominciato ad occuparmi solo della bellezza delle barche, che più erano vecchie e scalcinate e più erano belle. Una era bellissima. Costava neanche quattordicimila euro. Forse non navigava perché aveva dei buchi nella chiglia. Era rossa. Era in portogallo. E io, appena l'ho vista ho detto Questa. Poi ne sono venute altre (me ne ha spedite centinaia) ma quella era la più bella. la più salvifica. Adesso D si è comprato una casa, con le zampe, intendo, una casa che sta appoggiata alla terra, quindi niente acqua, niente barconi, niente mare. Ha messo radici. Qualche volta però, raramente, quando sono troppo triste al telefono, mi manda un'altra barca, ma io penso sempre a quella là, dico, niente, io amerò sempre quella portoghese rossa. Quella, dice D, non si può. Richiede troppa manutenzione. Lo dice serio, non scherza, perché, anche nei sogni, bisogna pensare al futuro.

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