mercoledì 22 marzo 2017

lectio magistralis alle pecore di mia madre

care pecore,
siate felici, tanto molto probabilmente, morirete lo stesso.
Oppure non siatelo, tanto non frega niente a nessuno, della vostra felicità.
Se tra voi dovessero esserci dei poeti, fissati con la condizione basale dell'infelicità
come fonte necessaria cui attingere per dissetare la propria musa
dite loro che la povertà è un'enorme cazzata.
Se alcune di voi brucano in prati verdeggianti, questo non significa che beleranno
male, o meno, o meno bene delle altre. Significa solo che avranno più tempo per guardarsi intorno
e pensare. 
Pensare può anche essere pericoloso, ma non avere tempo per farlo, è avvilente.
Care pecore, che mi ascoltate miti, senza protestare e con l'aria di chi ha davvero
voglia di comprendere a fondo i miei suggerimenti, 
non lasciatevi incantare dalle cose futili, andate dritte alla sostanza. Se la vostra natura
vi indica una strada, non imboccatene un'altra solo perché la vostra vicina e la vicina della vostra vicina 
e la vicina della vostra vicina e la vicina della vostra vicina e la vicina della vostra vicina e la vicina della vostra vicina e la vicina della vostra vicina e la vicina della vostra vicina e la vicina della vostra vicina e la vicina della vostra vicina e la vicina della vostra vicina e la vicina della vostra vicina e la vicina della vostra vicina, dicono che è migliore. Non fatelo. Perché verrà un momento, presto o tardi, nel quale vi accorgerete che era meglio non seguirle e andare per la strada che sentivate vostra. Non perché fosse migliore, ma perché non c'era nessuna differenza. 
Il fatto di fare le cose che fanno tutte le altre, non vi metterà al riparo né dai lupi (se esistono, qualora esistessero) né dai macellai.
Care pecore, siate pecore coraggiose, perché ci vuole molto coraggio ad essere pecore, come ad essere qualunque altra cosa. Dato che l'essere, comporta per sua natura intrinseca lo spavento, l'orrore e la vertigine nauseante, della coscienza dell'impermanenza. (Quest'ultima parte della lectio, mi rendo conto, si avvale di un linguaggio più complesso della prima, ma non per esercizio di retorica, solo perché, per spiegare alcuni concetti, non si puo' evitare di usare certe parole).
Care pecore, voi state lì, brucate, come se non ci fosse nient'altro. E in effetti, a guardare bene, non c'è quasi nient'altro. Ma quasi, c'è. Ossia: Voi e il vostro brucare, di per sé, per l'universo, ma anche per molto meno, diciamo anche per le pecore che brucano da un'altra parte, più lontano di qualche collina, non esistete. Se non per l'erba che viene strappata dai vostri denti o per le vostre vicine che vorrebbero strapparla prima e più di voi, con i propri denti. I denti delle vostre vicine non sono i vostri denti, l'erba strappata dai loro denti, non ingrasserà voi. Ma questo, dal un punto di vista lievemente più elevato di quello su cui poggiate i piedi, è irrilevante. Che voi siate voi, individualmente, o che voi siate qualcun'altra, cioè, quella di fianco o quella dietro, o vostra nonna o la figlia della figlia della vostra vicina gregge, non significa nulla. Voi non significate nulla. Di per voi.
Se volete significare, dovete sforzarvi. 
Questo lo dico non perché, al vostro sforzo corrisponda poi effettivamente un significato, ma solo perché il significato, diciamo, è lo sforzo stesso. 
Il vostro sforzo è la sola cosa vostra che vi permetterà di riconoscervi, se mai un giorno avrete voglia o il bisogno, o vi coglierà lo sfizio di farlo, per quello che siete.
Il vostro sforzo, è tutto. Potrebbe essere anche poesia, anche se non è detto. 
Quindi, tornando al discorso iniziale sulla poesia, appunto, levatevi dalla testa l'idea che qualcosa possa garantirvela. Che qualcuno possa insegnarvela. Che mettendovi in qualche posizione particolare, direzione particolare, condizione particolare, seguendo particolari studi, praticando particolari discipline eccetera, essa possa colarvi addosso e pervadervi e illuminarvi della sua luce. No. 
Quindi di conseguenza, anche quello che vi sto dicendo io, potrebbe essere una cazzata. Non è detto che lo sia, ma non è detto che non lo sia. 
Cercate di no credere alle cose solo perché qualcuno ve le dice come se vi stesse dicendo qualcosa di importante.
Alla fine, mi rendo conto che questa lectio magistralis per voi, pecore, andrebbe bene anche per me. Dato che molte delle cose che vi ho consigliato di fare, non le faccio, perché non le so fare o non ho la forza per farle. 
Ecco, in fin dei conti, l'unica cosa che mi viene da consigliarvi, prima di chiudere e di andarmene, e di essere, com'è naturale, dimenticata, è di non arrabbiarvi con voi stesse per la vostra debolezza.
Fateci pace. Anzi, portatela a spasso, brucate per lei. 
Andate in pace.

domenica 19 marzo 2017

l'odore degli asili



Gli asili hanno l'odore della pelle delle arance sbucciate, di colla per la carta, di cose baciate da labbra umide sul punto di sbocciare. Negli asili si sente odore di sonno profondo, di cose respirate. Sui muri ci sono collages fatti con la carta lucida incollata, blu per il mare, giallo per il sole, rosso per i tetti delle case. I pavimenti sono di linoleum chiaro. Nei bagni piccoli gabinetti vicini. Sopra i lavandini i bicchieri, con spazzolini. Ogni bicchiere ha il nome del suo proprietario, che è ancora un nome col disegno vicino: un nome scoiattolo, gattino, un nome pupazzo di neve. 
Per fare la pipì fanno una fila, si danno la mano, sono promesse, con due gambe due braccia due occhi un naso e una bocca (disegnata che sorride).

venerdì 17 marzo 2017

quando non so far niente

Quando non so far niente devo aspettare, non c'è niente che sappia fare
a parte, a volte, lavare gli stracci: una cosa buona, dice sempre mia nonna.
Riparo tutto, quando non so far niente, mi do da fare.
mi metto a camminare
per riavviarmi dentro,
per farmi volare.

Tutti lavorano, il tempo stringe
la borsa vola poi cade a picco
le bombe cadono, senza rumore
qualcuno muore

Dalla mia resa immensa
imperdonabile,
dell'universo,
della galassia che se ne va
lontano dal luogo nel quale è nata,
nessuno sa.

Gli stracci puliti li stendo al filo
e sono contenta per loro,
mi sembrano
con più senso di me.

I pensieri mi dicono: Pensa alla pensione
che non l'avrai
mettiti da parte una professione
monetizza un pensiero
mettilo in atto
fai del tuo dono
un capitale vero.

Quando non so far nulla
non so star ferma
mi mischio tra la gente e penso al loro dio
che li guarda, li protegge
e li culla.

Quando non so far nulla
me ne resto ferma
guardo la gente e penso anch'io
vorrei andare dove vanno loro

sapere un po' di cose
non troppe
fin dove tutto resta intero
al di qua del grande mistero.

Le cose troppo grandi o troppo piccole
sono sirene che cantano
s'insinuano negli occhi
t'accecano il cuore.





primavera



Non vorrei credere alla primavera
per varie ragioni tra le quali il grigiotopo di occhi un tempo azzurri
le manovre accorte di mani che non sanno magie
la scaltrezza con cui
persino i bambini
contano il mondo
spostano macerie di bene
a mare
all'occorrenza

e alcuni presagi di pioggia
che non cadrà e non vorrà cadere
trattenuta dal pudore di un cielo
rammaricato
su nuove gemme
su semi che con tutta la fede spingono
in su
come se cercassero un dio
a sbocciare
Non vorrei credere a questa primavera di fatti inoppugnabili
di pugni duri sbattuti con forza
su pance miti
in nome di qualcosa di sempre più lucido
e luminoso
in nome dei nomi
di tutte le cose confiscate
strappate via dalle mani
in nome della ragione della prudenza dell'odio
che ci fa grandi e piccini
buoni abbastanza
a dar fuoco ai cani
a ridere della povera morte
Non vorrei crederci
ma poi ci credo:
m'inchino un'altra volta
come tutti i mammiferi
quadrupedi corretti
come tutti i sapiens sapiens
insipienti
alla giallitudine stinta e pervicace
ostinata
della primula scema
e altrove
il verde che si prepara a coprire
e tutta la sua pietà.

martedì 14 marzo 2017

contro una specie di rintanarsi



In fatto di scrittura, meglio non avere padri né madri e non avere gambe e gonne sotto le quali raggomitolarsi e sentirsi protetti. Meglio non poter dire: io vengo da lì, quello è il mio luogo e lì, mi si dà ragione. No. Molto meglio scrivere nello smarrimento dei segni, dello smarrimento dei segni, dell'equità di questo smarrimento. Meglio non avere salvezze, che avere salvezze sempre più piccole, sempre più condiscendenti. Meglio non farsi strozzare dal tepore torbido, del sentirsi a casa.

lunedì 6 marzo 2017

libertà





noi siamo degli schiavi, e come tutti gli schiavi non possiamo amarci, perché l'amore c'entra con la libertà.

domenica 5 marzo 2017

Mai più


Quando vai a fare qualsiasi cosa da tua madre, come ti è capitato oggi che dovevi stuccarle il lavandino di marmo col bicomponente, ti devi preparare. Per prima cosa non la troverai in casa. Per seconda, quando arriverà, non si accorgerà neanche che hai stuccato il lavandino. Poi dirà: mangiamo una pasta? E l'acqua ci metterà un'ora a bollire perché il fornello non funziona. Poi la pasta sarà troppo al dente e il sugo, prelevato da un barattolo di sugo molto costoso, sarà cattivo. Preparati a non essere per niente soddisfatta di nessuna risposta che ti darà. L'asina è troppo grassa, non darle troppo da mangiare. E' perché non si muove abbastanza. Sì, ma non darle troppo da mangiare. Non si muove. Ma dalle meno da mangiare. Dovrebbe muoversi di più.
Poi, quando torni a casa, preparati ad essere scontenta per tutto il resto della giornata, perché non si sa, e a giurare che mai più andarci a stuccare niente, né di marmo né di legno, né di qualunque altro materiale, a casa di madre. Mai più.



Domenica




Faccio alcune promesse a me stessa, confidando nel fatto che non le manterrò. Almeno, non tutte. Forse, nessuna. Fuori c'è il sole. Domenica.

sabato 4 marzo 2017

mattino (poesia)

....Sunday was quiet. Like it was made specifically just so I could exist.
(Wendy Cope)



Noi stavamo seduti 
e io come al solito 
spiegavo la mia idea, il mio progetto
per vedere se negli occhi degli altri
si irrobustiva.

...così dicevo, vedi,
il mio sogno dovrebbe poi articolarsi in quella direzione
perché nessuno mi dice: Non c'è, una direzione. 
Il mio sogno io me lo tengo bello stretto,
come un salvagente, come un paracadute
come un

appena mi sveglio frugo subito
dentro le cose a disposizione
per trovare quella che mi salverà la vita,
il mattino.
Il profumo del pepe pestato.
Un pennello nuovo.






mercoledì 1 marzo 2017

ci proverò domani

A proposito della comunicazione, da qualche in tempo in qua ho dei dubbi sul fatto che la comunicazione sia una cosa buona di per sé. Come i funghi. Anche i funghi, possono essere buoni o velenosi, stanno tutti nei boschi, mezzi sottoterra. Il fatto è che i funghi non hanno scelta. Invece, in alcuni casi, uno , quando comunica, una scelta la può fare. Io a volte penso che si dovrebbe tracciare un contorno, come una siepe o una ghirlanda di rose, qualcosa che nasconda e insieme inviti. Al centro di questo cerchio dovrebbero esserci le cose più delicate. Quelle che con un soffio di troppo, se ne vanno. Certi mezzi non sono adeguati a certe funzioni. Non è colpa loro. Un aratro non è una setola. una setola non è un pennino. Le cose sono quello che sono, che possono essere. Un cortile non è un accampamento indiano. Quindi tutto qua. Pensavo solo che una volta non mi importava per niente dei petali dei fiori. Invece adesso li guardo con una certa ammirazione, per la bellezza. Però non cerco di farci niente. Non so cosa farmene. So che ci sono, so che esistono, e questo mi basta. A volte, nella vita, bisognerebbe adeguarsi, cioè, adattarsi all'idea che certe cose non possono e non devono essere toccate troppo e in modo disattento. Altrimenti smettono di esistere. Poi un'altra cosa la volevo dire, era a proposito dell'arte. Ma ci proverò domani.