mercoledì 28 giugno 2017

sul finire e aquile e cocorite



Si sa che le cose finiscono, ma non si sa il quando. Il fatto di non saperlo è come se le rendesse idealmente eterne, ma quando finiscono uno ci rimane male perché pensa: E' adesso. E dopo?
Si anche molto discusso, questa mattina, sul problema se un'aquila e una cocorita comunichino tra loro come un uomo con un cane, o un po' di più. (dato che hanno le ali, pensavo).

lunedì 26 giugno 2017

facevano finta




sul muretto nuovo mettevamo certe polveri, ceneri, resti di foglie. Un mercatino. offrivamo da mangiare in certe pentoline, un commercio ostinato di terra, legnetti e sassi chiari.
I grandi si fermavano, facevano finta di comprare, facevano finta di assaggiare.

venerdì 23 giugno 2017

Poi

successivamente vennero: le fiere. lui strisciava. le fiere strisciavano. lui s'arrestava. le fiere respiravano. quando le fiere uscirono, lui tornò alle cose di tutti i giorni, con la borsa in mano a camminare e le telefonate. telefonava molto.

mercoledì 21 giugno 2017

atti unici incompiuti

Buongiorno.
Non ti avevo perso allora. eri solo nell'altra stanza.
Ma tu lo sapevi? questa è la settimana degli atti unici incompiuti.

La foto te la metto qui cosi poi la guardate. La poso qui insieme alle altre.

Tu da che parrucchiere vai? che bella tinta.

A furia di ascoltare la radio mi viene da pensare che belli quei tempi quando la fiat la metteva in culo agli operari. almeno li considerava persone umane, con un culo.

Sai, c'e'un tipo di donna alto, con pantaloni stretti e fianchi un po' grossi, orecchini d' oro e un modo di gesticolare che lascia indovinare un marito ricco, dietro, professionista affermato; un tipo di donna sulla sessantina, molto curata, ben tenuta, che va dall'osteopata, che si occupa di fiori ma potrebbe tranquillamente anche allevare maremmani o adottare bimbi a distanza o fare per un po', perché no, un lavoro creativo. L'arredatrice? - che mi fa sentire subito la voglia di correrre ad abbracciare mia nonna.

domenica 18 giugno 2017

materiali pecora e nonna

e finalmente, a settant'anni, hai deciso che con tuo figlio volevi essere un po' più equa. Avrei dovuto farti l'elenco delle tue mancanze, una lista, delle cose che mio fratello non fa che ripetere come un mantra da quasi cinquant'anni, ma me ne veniva in mente solo una: tu, che lo pigliavi a calci, lo inseguivi per il soggiorno, fino in corridoio, lo facevi saltellare come un grillo. Non ricordo il perché di quella punizione, a quale domanda non avesse risposto nel modo giusto, o quale silenzio omertoso ti avesse esasperata. Era quasi sempre silenzio. Forse lui non ricorda neppure quel giorno. Ma io sì, perché me ne ero vergognata. Perché a me non succedeva, non mi picchiavi mai così, non mi picchiavi.
Non che non avessi i tuoi metodi per punire anche me, ma erano meno evidenti, più sottili. Non mi picchiavi.
Adesso io ti sento sinceramente dispiaciuta, ma questo dispiacere, tempo sia anche questo un vezzo. Una tradizione. Qualcosa che doveva arrivare, prima o poi, per rendere tutto più presentabile, meno barbaro.
Io ho visto, io ho assistito al compiersi di tante ingiustizie, e non ho detto niente. Non ho detto niente perché non mi conveniva, e perché non serviva a niente. Ho commesso un grave errore, avrei dovuto comunque provare. Ma mio fratello è stato sempre un fratello difficile da difendere. Era messo in una posizione troppo sbagliata. Non si voleva riposizionare.
E' stata mia la colpa, se tutto questo non ha avuto un limite.
anche la nonna è stata brava a rimettere mio fratello al suo posto, che era il posto di nessuno. Il posto di chi non ha diritti e deve solo ringraziare di non essere stato abbandonato di nuovo. La nonna, con tutta la sua bontà, è sempre stata crudele con lui. Perché non ha mai usato della dolcezza.
del resto la dolcezza nella nostra famiglia nessuno sapeva cosa fosse.

tu la ballerina non la farai mai



Da piccola volevo fare la ballerina. Perché perché perché nessuno mi diceva Ascolta, tu la ballerina non la farai mai, ma non prendertela, se fai schifo, sei scoordinata, sei impedita, e non hai il fisico non è colpa tua, è dio che ti ha creata cosi, invece che come Carla Fracci, perché forse voleva che tu facessi la panettiera, o riparassi i cavi della luce, o rastrellassi le spiagge verso le nove di sera, non c'è niente di male a essere impediti, anche Einstein (si dice sempre qualcosa su Einstein bambino, quando si vuol tirare su il morale) non sapeva fare la spaccata, e guarda poi, cos'è diventato. 
Invece niente, mi hanno lasciata illudere tanti di quegli anni, che pena provo per quella me in calzamaglina, che si guarda allo specchio a tutta parete e pensa: Sono come le altre, quando siamo ferme.

sabato 17 giugno 2017

Per non tornare

macchie sul soffitto attestano fragilità d'intonaco. predizioni di alte perdite, dolenti concrezioni. cammino per non tornare a casa, per non trovarci più.

venerdì 16 giugno 2017

Pazzia

pazzia

oggi mi ero arrabbiata ed ero diventata pazza perché urlavo che mi sembrava di essere stufa di essere sempre io a cucinare lavare i piatti stirare e stendere e pulire per terra e anche dietro la lavatrice, ma poi mi hanno fatto ragionare che non era vero.

mercoledì 14 giugno 2017

Reimparare

La bocca, bisognerebbe aprirla per dire cose buone. Per dire  Buongiorno, che bei capelli lisci che ha, molto lisci e pettinati bene, davvero.
Alla passante.
Bisognerebbe imparare, reimparare, a percepire con un po' di stupore, la grazia altrui.

Differenza

la dedizione deve passare inosservata
in caso contrario
è la sua stessa natura a subire un cambiamento.
La differenza tra fotografare una persona mentre è sorridente
o una che sorride, apposta, per farsi fotografare.

lunedì 12 giugno 2017

La grazia altrui

La bocca, bisognerebbe aprirla per dire cose buone. Per dire  Buongiorno, che bei capelli lisci che ha, molto lisci e pettinati bene, davvero.
Alla passante.
Bisognerebbe imparare, reimparare, a percepire con un po' di stupore, la grazia altrui.

venerdì 9 giugno 2017

invece






Mi dici vado e torno, ed esci. Poi torni. Poi siamo qui e io ancora, che mi perdo in un bicchiere d'acqua,
Stipo le cose nei posti e, per essere felice, sono felice, come vorrei, o di più. Tu prendi la vita, le cose grandi
le metti tutte insieme, e non hai mai paura. Ma io, la mia paura delle cose tutte insieme di perderle tutte, sì.
Il mio posto qui, sarebbe dove ti aspetto con un fiore, per esempio. O per esempio con una cattiveria
o un'idea, o un silenzio rapace, o a volte anche niente.
Quando mi sveglio siamo di nuovo lì ad aspettare il tempo. Arrivata l’ora di alzarsi, io cerco sempre di fare bene, seguendo le prescrizioni, come dicono di farle, le cose, bene, per non essere notati.
Se camminiamo in mezzo alla gente, qualcuno sempre ci dice dietro Quelli non sono.
Invece.

mercoledì 7 giugno 2017

Tubi

una volta avevo molta fiducia nei tubi. Un'estate ho infilato il pollice in un tubo di ferro rosso di un mancorrente di una rampa di garage, e dentro il tubo c'era una vespa, che prima mi ha fatto un po' di solletico al dito, poi mi ha punto. Ci sono rimasta molto male, quasi offesa, che la mia amicizia per i tubi fosse stata tradita così. Da allora, saranno una quarantina d'anni, non mi è mai più venuta alcuna voglia di infilare un dito in nessun tubo, e anche i tubi, non solo quelli rossi, tutti, non mi destano più alcun interesse. Era primavera.

domenica 4 giugno 2017

non è successo niente

Non è successo niente, alla fine. Alla fine non era niente. Ma per un momento tutto è diventato come l’avevamo visto solo in televisione, Bataclan, charly hebdò, queste cose, che succedono sempre in altri altri posti.
Io, che ci fosse la partita della juventus, l’ho saputo solo in piazza vittorio. Non seguo il calcio e non amo i chiassosi, gli strombazzanti, gli sbandieranti e gli urlanti, neanche a fin di bene.
Sono problemi miei,mie turbe ancestrali, non amo le folle e, se posso, le evito. Però, se per andare al cinema, devo passarci in mezzo, non ne faccio un dramma. passo.

E il film era bello.

Poi siamo fuori dal cinema tutti contenti, ci diciamo Beh, allora adesso andiamo a mangiarci una pizza al padellino. Così cominciamo a camminare verso la pizzeria e superiamo un bivacco di tifosi seduti per terra  (sul marciapiede e sulla strada) a guardare la partita, e a quel punto non so, forse perché seduti, forse perché la juventus sta perdendo e hanno perso la loro baldanza strombazzatrice, forse perché hanno l’aria di persone umane sedute una accanto all’altra e non di una massa, ecco, mi sembrano simpatici. Ci passiamo in mezzo, scavalchiamo e chiediamo scusa, scusi, pardon e arriviamo in via Po.
Visto, dice Gi, che sono anche carini, potrebbero starsene a casa propria a guardare la partita, e invece sono tutti qui, seduti così, è bello no?
sì, dico, voltandomi a guardarli, è vero, hai proprio ragione.
Poi ai mondiali, dice Gi, ci veniamo anche noi qui a guardare la partita seduti in strada.
Sì sì, dico, pensando No no, ma poi c’è tempo.

e andava tutto bene, e non c’era nessun problema, ed eravamo contenti di aver visto un bellissimo film e che dopo ci fosse concordata anche quella cosa della pizza al padellino, che era un’ulteriore riprova del fatto che la vita è piena di cose belle e poetiche  e di film belli e  e di gente che alla fine è disposta a starsene seduta a terra per godersi una sconfitta calcistica in compagnia.
Il migliore dei mondi possibili.

Camminiamo mano nella mano, un po’ romantici, commentiamo il film, diciamo Che bello eh, il dialogo con la madre, che bello il momento dello scivolo, quando fuori piove e loro sono lì, rintanati, e che bello quando i due si parlano mentre il figlio è uscito a cercare i biglietti della lotteria e tutt’e due guardano in direzione sua, che è la stessa del pubblico, come se il figlio fosse oltre lo schermo e mentre parliamo all’improvviso sentiamo un rumore di mandria.
una mandria come quelle dei documentari sulle gazzelle o sui bufali, che galoppa rincorsa da un predatore affamatissimo e scaltro. una mandria spaventata, impazzita, che vuole solo salvarsi la vita.
Come tutte le mandrie fa rumore di mandria, che è rumore del respiro della mandria e del suo correre, del suo scappare, che non è solo un correre ma un correre via da qualcosa per andare il più velocemete possibile da un’altra parte che non si sa quale sia, in cerca di salvezza.
Il tentativo di salvarsi, fa quel rumore lì, scomposto, ansimante, caotico e insieme ordinato, corale. uno spasmo, una tensione di branco.
E noi, che NON VENIAMO da quella piazza, CHE NON SAPPIAMO cosa sia accaduto, essendo cospecifici di quella mandria, NE AVVERTIAMO la spinta, NE ANNUSIAMO il terrore.
Questa parola, terrore, è, per ora, una parola come le altre. Non è ancora stata usata in altro modo, da noi. Certo, l’abbiamo letta, l’abbiamo ascoltata, l’abbiamo anche pronunciata, ma sempre così, come una parola e basta. Adesso invece, quella parola, è come se fosse entrata più in profondità, come se l’avessimo inspirata  e ci avesse avvelenato.
Questa mandria, che corre tutta in una stessa direzione, ci investe, non solo fisicamente, anche istintualmente. Ci dice col corpo: da qualche parte, presumibilmente quella da cui stiamo fuggendo, sta accadendo, è accaduta, accadrà, qualcosa di molto, molto pericoloso.

E allora corriamo. diventiamo mandria, diventiamo parte di quel corpo spaventato che si muove e spinge e muove l’aria, in cerca della propria salvezza.
Ma non sappiamo il perché. Né, più di tanto, ce lo chiediamo. Siamo appunto, in questo momento, soprattutto, quasi interamente, animali.

la fuga poi, è fuga, anche quando il pericolo non esiste. Non ha corpo né consistenza.

Da cosa fugge questa mandria. Da cosa fuggiamo noi, che siamo IN questa mandria?

Soltanto un attimo prima ero un individuo,ero in grado di valutare questo e quello, di avere un’opinione sulle cose, sui fatti, sul mondo, e anche (lo ammetto) sui tifosi di calcio; adesso sono solo parte di un organismo e non c’è più da pensare, c’è da correre, c’è da non cadere, c’è da cercare un posto in cui riparare. Un bar? un ristorante?
Bar, ristoranti che fino a un attimo prima erano solo vetrine con gente seduta, tavolini con candele, vini d’annata o birre, adesso sono ripari, zone in cui entrare per cercare protezione.
Strano registrare adesso, come una cosa, un luogo, possa trasfigurare a seconda della realtà in cui è immerso.
Come diventa all’improvviso strana, una pizzeria, se la gente che la popola non è più, per la maggioranza, lì per mangiare la pizza ma per salvarsi la vita.
E poi,neppure questo è vero.
Perché in effetti, la vita di nessuno lì, era in pericolo, nè lo era mai stata.
Noi eravamo dentro un organismo impazzito e ne facevao parte, ma fuori, a vederci da fuori, a poterci vedere come un piccione che vola su quelle strade diretto al fiume, niente. Non sta succedendo niente.
La paura che possiede questa massa, è (l’ho scoprirò più tardi) una paura senza ragione. Ma che differenza fa, che sia immotivata,in questo momento? Genera comunque conseguenze.
In me ha generato conseguenze, ma sono sicura che la stesso sia stato per tutti quelli che ho incontrato. Gente che, appunto, non riuscendo più ad interpretare la realtà, chiama qualcuno al telefono, altrove, esortandolo ad accendere la televisione, chiedendogli: Cosa dicono che ci sta succedendo?

Noi eravamo in un posto, terrorizzati, e aspettavamo che qualcuno ci spiegasse cosa stava succedendo.

il terrore, fa perdere la testa.

E il terrore non si genera più soltanto con gli spari. Il terrore può essere un riflesso condizionato.
condizionato. condizionato. condizionato.
mi sto ripetendo?

Lorenz, parlando delle sue oche, in un libro che era un po’ la bibbia di mia mamma, diceva che lui aveva condizionato le oche a seguirlo perché gli faceva da mamma. oppure che aveva convinto questa o quella oca a fare determinate cose perché faceva un suono, uno schiocco, al quale poi corrispondeva (per chi lo seguiva) un premio.
in altri casi poi, il condizionamento poteva anche essere negativo, tipo: Se fai questo ti becchi un calcio in culo, o: se non fai questo, non ti voglio più bene.

cose così.

condizionamenti ce ne sono tanti, e alcuni anche a fin di bene.
il problema è però, appunto,la relatività del bene.
se io penso che una cosa sia bene, come ad esempio non fare pipì sul pavimento di casa, quasi tutti sono d’accordo. il cane piscia, lo condiziono, e tutti sono contenti. Alla fine, anche il cane.
Se hai le mani sporche e tua madre o tuo padre ti hanno convinto che se mangi con le mani sporche prima o poi ti verrà il tifo o il colera, ad un certo punto della tua vita tu non ti siederai più a tavola senza esserti lavato le mani, e sarai salvo.
ma sei condizionato.

il terrore è un ottimo condizionante. è rapido e funziona anche in assenza del proprio principio attivo.
Perché, una volta sperimentato, condiziona a lungo.

Ma noi che ieri eravamo quella mandria spaventata dai fantasmi, non eravamo pazzi. eravamo il prodotto di un condizionalìmento. come i cani, come le oche, come i soldati, come chi, vedendo un rom, si mette una mano sulla borsa o sulla tasca. Niente di male, sono condizionamenti.
Fa parte del gioco.

Ecco.

Se domani mi dicessero: vieni a un concerto in piazza, gratis, c’è Dylan, c’è Springsteeng, c’è De Andrè resuscitato; io vorrei di certo, ma non so se avrei il coraggio di andarci.
Perché sono condizionata.

Forse la mia voglia individuale sarebbe schiacciata dal mio condizionamento e lascerebbe perdere, lascerebbe direbbe: magari un’altra volta e un’altra volta, direbbe lo stesso.


Peccato perché un concerto di un resuscitato non capita tutte le sere.