giovedì 30 giugno 2016

non mi sento a posto



Non mi va di uscire adesso, 
di andare in giro così, 
dopo aver ucciso tutte quelle formiche nel lavandino.

canto d'amore tre

Era lo stato delle cose che pesava, da un'altra parte. L'essere più sottile non se ne andava via ma spingeva, per essere lasciato, per conto suo. Ti dispiace se stasera non mi vesto da festa? ti dispiace se stasera non canto come l'usignolo il trillo dei tuoi carezzini dietro l'orecchio?
Non prendere tutto male. Prendi tutto così male. Ti sollevi solo per piegarti in giù, per dire cose molto serie con il dito che sale e punta. Un dito puntuto ti viene, a volte. Il dito d'una sapienza d'altri tempi. il dito di un nonno dei tuoi tantissimi. Prendi per esempio me. Non credo. Prendo un posto ma non è mai quello. Comincio ma non finisco. Cado ma non mi rialzo in tempo per dire: Ero qua, non mi vedevi? Tu non mi vedevi. Molti discorsi che si fanno sono pieni di bersagli. 
Quando la notte mi sveglio io lo so. Quando mi risveglio la mattina non lo so più. il sole che confonde tutto. Le cose come spugne si bevono la luce. affondano nell'evidenza del creato. 
Tu hai certe sentenze. Sentenzi certe verità sull'acqua calda. Sai benissimo che non sta lì. 
A me piacciono i cuscini, per esempio. Di notte mi ci arrampico dentro e mi piace così. Amo i miei cuscini scudo che sono sempre troppi e ti fanno la guerra dal di dentro. da dietro. Tu li offendi, con le tue parole stupide contro di loro. Che non ti hanno fatto niente. Cosa vuoi? cosa vuoi da loro?
Non ammetti mai quando esageri. Hai esagerato. Quando? con i cuscini. Hai esagerato con le minacce a loro. Poi pretendi. Pretendi di far tornare tutto piatto e pettinato, tutto liscio e morbido come dovrebbe essere. Liscio. E morbido. Non si può. Qui dopo tutto siamo sotto lo stesso tetto.
Quando cammini vai su e giù spiegando e sancendo. Io non chiudo gli occhi e le orecchie e la bocca per offenderti. Se non posso altro, faccio quello che posso. E taccio. Ascolto. Il tuo suegiùare avanti e indietro. e sentenze. Tu sei rarà tu sei tatà tu sei tataratà. Il meglio viene dopo. Quando ti arrendi lasci. Solo dopo possiamo prenderci la mano per entrare insieme, nel lato buono. quando ci vediamo dall'alto, dal lontano, fare stupide cose stretti oltre misura. Per dire. C'è da essere fieri anche di questo alzarsi e sapersi appena, non perduti. 

mercoledì 29 giugno 2016

quello che era stato e quello che non era stato. lo stato delle cose dissolte.

sì quindi questo è il grande canto, di cui non c'è bisogno. Questo è il grande canto di cui non c'è bisogno. Dice la signora che si dovrà attendere ancora che dipende dall'andamento delle sue finanze se la voce potrà o non potrà. Essere sentita. Dipende dalle saponette e dalle vasche di zinco. Dipende da tutt'altre cose se questa sera potremmo guardarci allo specchio e dire sì, oppure dire No. Se diremo No, l'avremo detto. Nessuno ce l'ha chiesto. Del resto. La signora dice di stare tranquilla. Che per il momento non è ancora ora di strisciare verso l'immondizia. perché la signora è molto di larghe vedute. La signora si sa muovere bene in tutte queste cose di pietà, che per noi sono altra cosa. La signora chiama pietà quello che noi non chiamiamo in nessun modo. Noi chiamiamo in nessun modo quello che la signora fa uscire dalla propria bocca come un fiore. Povera signora. Ha un pacco di soldi talmente grande con il quale si sventaglia la mascella larga. Povera signora. E' un po' agitata ultimamente. Dev'essere la temperatura del pantalone. Povera signora.
Noi raspiamo lentamente verso la nostra abitazione. Raspiamo e sbaviamo. Ci chiediamo: Cosa ho sbagliato?
Povera signora.
Lei non si domanda mai Cosa ho sbagliato.
Dev'essere una natura di cromosomi.
La natura non glielo consente.
La natura è stata dura con la signora perché la signora ha tante di quelle telefonate da fare.
Tante di quelle faccende da sbrigare. E non ha tempo.
Non per noi in particolare. Non ha tempo e basta.
Quindi dicevamo?
Di cosa stavamo parlando.
Io, il canto adesso mi si strozza in gola. Non posso, vorrei dirle. Non posso più cantare. Mi dispiace.
Ma in definitiva dico solo Non.
Il resto non vuole più uscire.
Non esce perché non vuole uscire. Non si vuole più regalarsi a nessuno.
Il canto è povero, troppo povero.
Il canto non crede più in dio.
Volevamo andare da qualche parte.
Prendimi il coraggio. Portamene un po' per domani.
Domani compriamo le zollette di zucchero bianco. Sono sicura che almeno per un po' non avremo più  problemi. Con l'amarezza.
Eppure.
Se conti quanti sono.
Quanti sono?
i tuoi amici, quelli che dicevano la verità, la dicevano a tutti. L'hanno detta anche a te, tempo fa.
Tempo fa tu sapevi bene le cose. Le misure delle cose.
Sapevi che qui non si canta più?
da nessuna parte.

martedì 28 giugno 2016

promozione


Devo ricordarmi di non andare più ai festival della cultura nostrana. Mi sento confusa, dislocata. Annientata. Sono triste. Avrei dovuto armarmi meglio.
Quello che conta infine è la fotografia. Il selfie con lo staff.  Non l'esserci ma: l'esserci stati. Comprovati.
L'appartenenza connivente al loro nulla marcio ma sempre vittorioso,
Il teatrino povero e impudente del sorriso spiritoso.
Lo sfavillio dentale di un chilo di parole lette male.




sabato 25 giugno 2016

Ulisse (pensieri)

oggi leggendo Joyce riflettevo sull'antisemitismo. E' Leopold stesso, in carrozza, che si mette a raccontare agli altri un fatto comico, ma non tanto, sullo strozzino. Perché lo fa, mi chiedevo.Forse per evitare che lo facciano gli altri? per evitare che vengano dette su quell'ebreo cose peggiori? Poi alcune cose mi sono venute in mente. Un' ambivalenza indotta dalla circostanza, o forse il desiderio di essere percepito come uno che, ironizzando sull'ebreo, non è come lui. Una specie di conformismo. un chieder scusa? Leopold è un personaggio straordinario. E pensavo anche come sia strano oggi leggere di quell'antisemitismo pre shoa, quasi rimosso.

giovedì 23 giugno 2016

UNA COSA DI ATTUALITÀ' discussione di altissimo livello tra me e Gi sulla brexit

Gi al telefono dice Lo sai che oggi è un giorno importante. Penso se mi sono dimenticata una data, come quella del nostro fidanzamento o matrimonio civile o qualcosa che abbiamo fatto insieme di memorabile. Ma poi Gi mi dice La Brexit.
CI penso un po' e mi accorgo che non ci avevo pensato, e che la cosa mi innervosisce. Non mi ero resa conto che la cosa mi innervosisse. Infatti poi dico Sai cosa ti dico, a me sti inglesi mi stanno sul cazzo, io quasi quasi, se vincono i no, farei un referendum tra noi per decidere se li vogliamo ancora, nella UE. E mi sento molto europea, come se essere o non essere nella UE fosse una cosa di cui andar fieri, una cosa che si sente come un'identità. Però è così, perché altrimenti perché mi fa arrabbiare? Allora Gi dice Mi sa che vincono i sì. Potrebbero vincere. Allora io dico, E se vincono, che se ne vadano. Ma poi Gi dice, Guarda che se vincono i Sì, poi per andare a Londra ci vuole il passaporto. Sai quanto me ne frega, dico, io a Londra non ci vado proprio. Non mi piace andare a Londra, non ci vado mai. Sì, ma è scomodo, dice Gi, che secondo me pensa alla storia del passaporto, si immagina già alla frontiera che cerca il passaporto e non lo trova. Allora dico, non ti preoccupare, si fa come prima, il prima non è così male, perché prima di solito è quando le cose non erano schifose come adesso, perché il prima era prima, era più indietro rispetto all'entropia, quindi meglio. Quindi, penso, se torniamo ai passaporti, torniamo all'inter-rail, tutte quelle cose lì, che in me si associano anche a storie romantiche di limitamenti in treno e dormite in sacco a pelo sul traghetto ma questo non c'è bisogno di dirlo a Gi. Ma Gi poi dice, si potrebbe fare la guerra di secessione, come hanno fatto gli Stati Uniti con gli stati del sud. Se vincono i no, dice Gi, gli dichiariamo guerra, perché non se ne vadano. 
No, gli dico, è come cercare di convincere uno che ti vuole lasciare a non lasciarti riempiendolo di sberle, non è bello e non lo convinci. Ma con gli Stati Uniti ha funzionato, dice Gi.  Sì, ma noi non abbiamo un buon esercito, poi cosa ce ne frega a noi degli inglesi scusa, lascia che se ne vadano, dico. Ma non noi, dice Gi, noi tutti, noi tutti quelli che restiamo nella EU, che siamo tanti, siamo (dice un numero bello grande di stati). E facciamo come gli Stati Uniti. Lascia stare gli Stati Uniti, dio io, sono degli psicopatici. E Gi, dalla stiazione, si mette a ridere.

mercoledì 22 giugno 2016

dire la luce

Noi alla fine siamo sempre o schiavi di qualcosa, o schiacciatori di qualcosa. Non parlo dei mezzi che usiamo, che possono essere anche (e di fatto per lo più lo sono) pacifici. Anzi, è in questa pace, grazie a questa pace,  che commettiamo i nostri peggiori delitti, che sono delitti minimi. I nostri delitti sono quasi sempre commessi per paura, paura della paura, paura della paura degli altri.
Noi siamo delittuosi perché non abbiamo coraggio e non abbiamo coraggio perché non lo troviamo più. Il nostro coraggio dev'essersi perso da qualche parte, che potrebbe essere un luogo qualunque, anzi, è proprio un luogo qualunque. E' nel luogo qualunque che ci siamo persi e non ci troviamo più. E' perché ci siamo persi il coraggio, che siamo diventati belve.
Quindi, riassumendo, in tutto questo mi ci metto anch'io. Non vorrei che qualcuno pensasse che sto parlando da una posizione privilegiata. Assolutamente no. Io parlo dal basso.
Ciò di cui parlo ha a che fare con la possibilità di relazionarsi alla complessità. 
Mi rendo conto che sto prendendo la cosa molto alla larga, ma chissenefrega. Questa è la mia pagina. Questo è il mio cervello. Il mio cervello va dove vuole, ha il guinzaglio lunghissimo.
La complessità è forse una salvezza. Riuscire a considerare che molte cose possono stare assieme pur non avendo niente a che vedere le une con le altre, è un esercizio di 
lasciamo stare. Non mi interessa. Faccio fatica in questo momento a trovare qualcosa che davvero mi interessi. Non mi interessa quasi più niente. Esco di casa, cammino. Mi piace camminare, essere in movimento, perché il movimento mi garantisce uno sguardo pù leggero sulle cose, uno sguardo tollerabile, perché più leggero. La leggerezza della non fissità. Lo sguardo che si ha su qualcosa che ci sta sfiorando, non possedendo.
ciò che accade, accade. Non possiamo far niente. Possiamo solo cercare di non esercitare violenza. 
Per non esercitare violenza dovremmo forse rassegnarci al fraintendimento.
Ecco sì: rassegnarci al fraintendimento. Era questo che cercavo di dire.
L'arte è forse la massima espressione di questa rassegnazione, che, dalla disperazione, diventa canto.
Penso per esempio allo sforzo di Dante, nel paradiso, di dire, di descrivere ciò che non può essere detto, ciò che non può essere descritto, come luce. Dire la luce. 
Mah.


(finisco sempre, quasi sempre per zittirmi)




lunedì 20 giugno 2016

quelli che sanno le cose bene

Io, mi rendo conto, non sopporto più quelli che pensano di sapere le cose bene. Secondo me, uno quando ti dice: Guarda io ho capito come stanno le cose, stanno così e così. Non c'è da fidarsi. Perché, secondo me, la maggiorate di quelli che ti dicono di sapere le cose bene, lo pensano davvero. Ed è quella la cosa più pericolosa che ci sia. Secondo me, quando tante persone che pensano di aver capito tutto e di sapere le cose bene, si mettono insieme, fanno un gruppo, una massa, di persone che pensano di aver capito tutto e di sapere le cose, e questa massa, questo gruppo, si mette a camminare spostando l'aria in un modo, che non è come il venticello fresco, che passa tra le foglie e le fa respirare, è più come un rumore di vento forte, che poi è anche un silenzio, dato che non si sente più niente.
Io, tra le persone, preferisco quelle che non capiscono, o che capiscono qua e là qualcosa, o che hanno delle sensazioni ma non sanno spiegare bene il perché.
Ed è per questa ragione che molto spesso mi sento a disagio, quando mi trovo in mezzo a gente che ha capito molte cose o quasi tutte, perché mi fanno paura e mi anche mi imbarazzano, come durante il carnevale, quando passano i carri, e si vedono sopra degli adulti vestiti da personaggi dei cartoni animati, che non si ricordano più di essere vestiti da cartoni animati, e si comportano come fosse normale, perché loro sono sul carro e c'è una voce che urla delle cose  a volume alto, con una musica  e magari delle trombe che servono anche per convincere quelli intorno che loro sul carro hanno delle buone ragioni per urlare strombazzare ed essere vestiti da cartoni animati. E io, quando mi capita di esserci in mezzo, non riuscendo a convincermene, mi sento proprio fuori posto, e cerco di andarmene il più in fretta possibile, perché, appunto, mi vergogno e mi sento sola.
Questo per dire che c'è qualcosa che ha a che fare col volume al quale le cose si dicono, e con la verità, che se viene espressa troppo categoricamente, a volume troppo alto, con parole troppo semplici, si trasforma in qualcosa di cui non mi fido e che non mi piace, anche se non saprei dire, ben ben, il perché.

martedì 14 giugno 2016

tu chi sei?

ieri con D si parlava del problema dell'identità. Che uno, se non ha un'identità, se si sente solo un numero, uno che paga, uno che che viene pagato, uno che guadagna o spende, può darsi che ad un certo punto gli scatti qualcosa nel cervello che lo fa sentire bisognoso di distinguersi per qualcosa e, se non ci riesce, si innervosisce. così, questo qualcuno, se non ha qualcosa di forte a cui attaccarsi,come ad esempio una famiglia, o un amore, o una passione per qualcosa, si sente smarrito e gli monta la rabbia. solo che questa rabbia una volta era contenuta da certe regole, da certe convezioni stabilite che non si dicevano neanche perché non c'era neanche bisogno di dirle, c'erano e basta. Invece adesso, con i cartoni animati giapponesi e i videogames e le mitragliatrici giocattolo, un po' si sono stinte e non si vedono più. così uno fa un po' quello che gli viene, a cazzo. e se vuole se la prende con quelli che gli pare. e di solito quelli che gli pare sono quelli che lui, non sentendosi nessuno, gli sembra che siano, vagamente, qualcosa che lui non è. cioè, che tra lui e quelli ci sia una differenza dalla quale lui, non sapendo bene chi è ma non volendo essere proprio nessuno, sente il bisogno di difendersi. e così, questi qui, che nella sua mente hanno la colpa di essere qualcosa, più qualcosa del niente che lui sente di essere, o di non essere, diventano suoi nemici e, se può, gli spara, o cerca comunque di ammazzarli, o di farli sparire come può, mettendoli in posti dove è difficile sopravvivere anche solo per cinque minuti. Così poi questo qualcuno per un po', ma non per molto, si sente meglio, perché sente di essere qualcuno, qualcosa, insomma uno che ha una specie di identità. e ci chiedevamo, da cosa dipende tutto questo? e un po' pensavamo che alla fine è sempre la società, che dà e che toglie, che impoverisce e che estorce alla gente talmente tante cose umane, che alla fine uno rimane senza. Senza tutto. senza cervello, senza cuore. e così poi succedono le cose, che tutti dicono: Che merda, che schifo. Però poi non è che si faccia molto di più. allora si pensava, cosa si potrebbe fare. E una cosa era Andiamo nelle scuole e parliamo dell'identità. Facciamo la domanda Tu chi sei? Lui chi è , chi sono gli altri? e vediamo cosa succede. Forse potrebbero venir fuori delle cose interessanti, un po' meno tristi di quelle che vengono fuori quando ormai è troppo tardi e il niente si è preso tutto.

sabato 11 giugno 2016

appunti di un anno fa

quel che mi piace di più è scrivere in un modo da sentire che c'è sempre, un po' di discrepanza, tra quello che pensavi che avresti scritto e quello che poi scrivi davvero. ma se mi metto lì, a dire Adesso scrivimi questo, mettici questo inizio e questa fine e questo e quest'altro in mezzo, ecco che subito mi sale una noia, una noia che mi fa prima sbadigliare, poi venire voglia di andare a fare dei lavori come lavare i piatti o aggiustare la sedia o lavare i vetri o anche solo camminare.
per esempio adesso mi ero detta Scrivi qualcosa sull'arcobaleno della luna di ieri sera, ma poi mi sono detta, cosa dovrai scrivere mai dell'arcobaleno della luna di ieri sera? niente. la luna faceva l'arcobaleno.

venerdì 10 giugno 2016

appunti sul male

quindi sì, adesso siamo tutti scandalizzati.
e ci scandalizziamo.
e ci scandalizziamo.
e ci scandalizziamo.
poi ci scandalizziamo ancora un po', ma meno.
poi continuiamo a scandalizzarci ma ancora un po' meno,
perché nel frattempo ci stiamo scandalizzando già per una cosa nuova, più brillante, più scandalosa.
poi non ci scandalizziamo per un paio di giorni
perché è il nostro compleanno e ci fanno gli auguri
o ci muore il cane
poi ci scandalizziamo di nuovo tantissimo in un colpo solo
tutti insieme
perché scandalizzarsi in tanti
è come camminare con la banda,
non fa paura,
è un'emozione forte,
poi ci scandalizziamo
e ci scandalizziamo
e ci scandalizziamo anche per quelli che ci sembra non si siano scandalizzati abbastanza
o che ci sembra si siano scandalizzati
con parole sbagliate o azioni sbagliate
o con poca convinzione.
e ci scandalizziamo ancora un po'
un paio di giorni
un paio d'ore
poi tutto questo scandalizzarsi va da un'altra parte,
come un'onda che scivola indietro
per gli annegati
per i bruciati
per i sommersi
per gli stuprati
per i giudicati
per i deboli
per gli sradicati
per gli innocenti
per i non vedenti
per i perdenti
per i muti
per i senza cuore
per i pallidi
per i moribondi
per i cattivi
per i non abbastanza buoni
eccetera
e qui, esci di casa,
c'è sempre quello seduto davanti al carrefour
aspetta,
il vecchio che chiami gatto randagio
non chiede
se lo guardi non sorride.
nessuno è buono.

mercoledì 8 giugno 2016

altre imperfezioni

Io stiro e intanto Gi lavora a un qualcosa sul computer. Gi si è messo una musica che gli piace per concentrarsi mentre fa le sue cose e si è messo Gianmaria Testa. Allora io gli dico se per favore lo può togliere perché mi mette il magone.
Gi dice Perché? e già questo non depone a suo favore. Perché mi fa tristezza dico io, che è appena morto. Allora non possiamo sentire neanche DeAndrè? 
De Andrè dico lo possiamo sentire, perché è morto da tanto e non mi fa più male.
Allora Gi dopo un po' mette una musica di una cantante. Una palla.
Dico, cosa sentiamo adesso questa palla al cazzo mostruosa.
E Gi dice E' l'unica viva.
Poi parliamo degli affitti e come tutte le volte Gi mi spiega la storia del profitto, che non è giusto che uno che affitta una casa non ne abbia un profitto. E io dico che invece è giusto. Allora dice Gi sarebbero tutte sfitte le case. Secondo me, dico, a uno, se tiene una casa sfitta, gliela dovrebbero espropriare perché cosa se ne fa?Se non ci guadagna, dice Gi, perché deve affittarla. E io dico Mica deve guadagnare dalla casa, la casa non è mica un lavoro.Vada a lavorare. Allora Gi si mette a dire che qui noi siamo in un regime dove il profitto è dato dal capitale, cioè è il capitale che fa profitto.Non importa se lavori, se hai il capitale puoi anche non lavorare, anzi, meglio. Funziona di più, se non lavori. Allora io lo guardo nel mio solito modo, e Gi dice, Tu non lo capisci mai. 
Già ieri si era messo a spiegarmi il premio di maggioranza e dopo un po' mi ero messa a sbadigliare e lui se n'era accorto e mi aveva chiesto Mi ascolti o no? e allora io avevo dovuto dire che sì, lo ascoltavo, ma che no, non capivo. E lui aveva ricominciato in un modo più semplice a spiegare il premio di maggioranza e per un po' lo seguivo ma poi no, niente, non lo seguivo più. E GI da tutto questo si è fatto l'idea che io non abbia un cervello che segue bene la politica. 



saggio su LA SPAZZATURA (parte prima)



mi sono svegliata pensando alla spazzatura.

la spazzatura come concetto, ma anche la spazzatura e basta.

Mi rendo conto che vorrei proprio scrivere qualcosa sulla spazzatura.

la spazzatura dal punto di vista storico ( spazzatura industriale, preindustriale, preistorica)

spazzatura dal punto di vista architettonico ( abusivismo, palafitte, piramidi venute male, grotte crollate)

spazzatura erotica (preservativi usati, confezioni di viagra vuote)

spazzatura della mente (sogni)

spazzatura sentimentale (lettere degli ex, lettere agli ex, lettere mai spedite a gente che non lo sa, cartoline varie)

spazzatura che non si può buttare (regali di amici, pensierini per la festa della mamma)

spazzatura politica (discussioni sotto i post di fb)

spazzatura animale ( ricci schiacciati sulla strada, gatti spiaccicati sulla strada, qualche cane)

spazzatura umana (vecchi, gente che non ha soldi)

spazzatura umana 2 (gli altri)

spazzatura vegetale (le bucce delle cipolle, le bucce delle banane, i gusci delle mandorle e delle nocciole, le bucce delle noccioline americane)

spazzatura corporea (i pezzi di nasi eliminati nella rinoplastica estetica)

spazzatura letteraria (i libri di Banana)

spazzatura umile (fazzoletti usati, carta igienica usata)

spazzatura monumentale ( montagne)

spazzatura universale ( cielo stellato)

spazzatura primordiale ( lava )

spazzatura concettuale (i pensieri già pensati, le idee che sembravano buone ma in pratica non hanno funzionato. vedi Marxismo)

spazzatura tecnologica (telefoni col filo, cabine telefoniche, revox, cd portatili)

spazzatura che porta sfortuna (specchi rotti)

spazzatura pura (acqua dei ruscelli quando arriva a valle)

spazzatura della mente 2 (incubi)

spazzatura temporale (orologi digitali casio degli anni ottanta)

spazzatura superficiale (microbi)

spazzatura pura (omofobi)



spazzatura del cuore ( pacemaker malfunzionanti)