domenica 17 gennaio 2016

militanza

Ieri alle undici c'era il flash mob dal titolo Io vado da sola a Porta Palazzo, al quale io ho partecipato perché mi sembrava che ne valesse la pena. A volte mi prende così, una su dieci dodici, la voglia di impegno civile, l'indignazione fugace. Che poi passa. Comunque vado a Porta Palazzo e lascio la macchina in un parcheggio sotterraneo. Veramente sotterraneo. E salgo su. Siccome ero in anticipo di mezz'ora sull'orario dell'appuntamento, al mercato dei contadini non c'era nessuna di quelle che aspettavo io, cioè: un centinaio di donne pettinate bene, alle quali avrei dovuto aggiungermi per andarcene in giro a farci fotografare con migranti (trovati lì, ma anche alcuni avvisati di venire, nel caso non ci fossero abbastanza migranti spontanei ) per far vedere che non è pericoloso per le donne, come invece dicevano alcuni, in particolare una giornalista su La Stampa, che lasciava intendere di essersene andata in giro per Porta Palazzo e che le avevano fischiato dietro o fatto commenti vari per la sua avvenenza, ma sempre (e solo) in arabo. Allora noi eravamo lì per dire: Macché, non è vero  niente, noi, guardateci, camminiamo qui, e nessuno ci dice dietro niente.
Prima di tutto mi compro un sacchetto di minestrone perché costa solo un euro e cinquanta, è già pronto e sembra molto fresco. 
Poi mi compro anche delle foglie di cavolo nero e una rapa, in tutto spendo tre euro. 
E mi guardo in giro. 
Non una femmina del mio tipo.
Non un migrante di quelli che servirebbero a noi.
Allora penso: sempre così, non ci devi più andare a queste cose. Tutti dicono Ci sono di certo,vengo fisso, contateci,ci sarò,invece poi alla fine desistono, si svegliano tardi, hanno impegni, si scordano, comunque non ci vanno.E tu che ti sei alzata stamattina che non te ne fregava più di dimostrare niente, che dei fatti di Colonia dentro di te te ne strafottevi, che dell'opinione pubblica e della stampa, de La Stampa, ancora di più, perché sei fondamentalmente una depressa asociale cronica pessimista e sfiduciata nei confronti dell'umanità nel suo complesso,che ti fa schifo  e non ti senti di difendere per niente, ti sei fatta la doccia, ti sei messa un po' di mascara, un velo di trucco, e sei qua, pronta a reclamar diritti.
Mah.
Diritti diritti diritti per tutti.
Che poi ti chiedi, cosa ne penserebbero i migranti di vedere te, che per i loro standard hai l'età media di una loro bisnonna, aggirarti per un mercato ortofrutticolo sotto le mentite spoglie di una figa potenziale in qualità di esca alla quale fischiare o alla quale toccare il culo, vedi tu, per dimostrare all'opinione pubblica, che per altro di te se ne frega almeno quanto tu te ne freghi di lei, che loro, questi ideali migranti stereotipati, cioè neri e devoti a Maometto, non ti molestano quando cammini a Porta Palazzo, ma dai. 
Vabbè, dici, ormai ci sono.


Alla fine ci siamo incontrate. Eravamo già tutte lì, ma non ci vedevamo perché  c'eravamo mimetizzate tra i banchetti. 

Però non eravamo cento. Eravamo una quindicina.
Allora a me è venuto quel senso di odio per me stessa che mi viene su e penso: Cosa fai, ancora? Vai via non vedi che sei ridicola. 
Però poi, nei confronti delle altre lì,infreddolite in piedi, non mi sembrava bello. Allora sono rimasta con loro a fare gruppo. Gruppetto.
Hanno scritto dei cartelli. Sopra c'era scritto Io non ho paura, io cammino da sola a Porta Palazzo No al razzismo eccetera.
Erano scritti su dei pezzi di scatoloni di cartone con il pennarello.
Una cosa già di per sé mediaticamente fallimentare.
Però poi non so, stando lì insieme, con questi cartelli, ed essendo appunto insieme, non era più così male. E un po' di gente, non molta, si fermava a guardare il nostro gruppetto di(prevalentemente) signore di una certa età non preoccupate di camminare da sole e qualcuno diceva È vero! qui a Porta Palazzo non è un posto dove le donne non possono camminare da sole, è un posto come un altro.
Oppure c'erano dei migranti casuali, non convocati, che si avvicinavano incuriositi e e quando capivano il perché del nostro bivacco sembravano contenti e si mettevano in posa per la fotografia, e poi salutavano e ci sorridevano. Davvero.
Allora poi anche le uova, tutte le cose lì intorno, avevano preso un'altra luce. Era come se tutto avesse ricevuto un senso. Non un senso enorme, un senso e basta.
E il senso era che a tanto corrisponde poco, pochissimo, ma non niente. 


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