venerdì 7 marzo 2014

Intervista di Francesco Musolino

Il lieto fine? È la fine dell’adolescenza. Valentina Diana racconta il suo romanzo d’esordio, “Smamma”.

 
 
 
 
 
 
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In questa stagione editoriale è il rapporto padri-figli a farla da padrona. Basti pensare ai romanzi di Valerio Magrelli (“Geologia di un padre, Einaudi”), Antonio Scurati (“Ilpadre infedele”, Bompiani), Antonio Pascale (“Le attenuanti sentimentali”, Einaudi), la raccolta di racconti a tema, “Scena Padre” (ancora Einaudi) e ovviamente “Gli sdraiati” di Michele Serra(Feltrinelli) per settimane in cima alla classifica vendite, spodestando e distaccando tutti con merito, già in corsa verso lo Strega. Una serie di romanzi che hanno affrontato il tema fra il serio e il faceto, fra lacrime e sorrisi, fra tradimenti e risarcimenti eppure mancava una voce femminile capace di far da contraltare soprattutto agli sdraiati di Serra, rendendo il rapporto figlio-mamma in una accezione moderna. Del resto gli italiani sono spesso tacciati – a torto o a ragione – di essere bamboccioni e mammoni, no? Valentina Diana, attrice e drammaturga torinese classe ’68, conSmamma (Einaudi, pp.240 €17) firma il suo divertente romanzo d’esordio portando in pagina un figlio adolescente, Mino, irritante e sfrontato e un compagno, Gi, appassionato di Ruzzle e incline al commento filosofico. Dialoghi serrati, un ritmo tambureggiante e la grande attenzione alla musicalità del testo fanno di “Smamma” un romanzo pungente e acuto senza la speranza di un lieto fine salvifico…
Quanto c’è di autobiografico in quello che racconta?
«Non riesco a concepire la scrittura intorno a qualcosa di cui non ho esperienza. Non sto dicendo che non si possa fare, dico solo che io non ne sono capace. Credo che la scelta di parlare di un rapporto madre-figlio sia dovuto al fatto che è un rapporto che conosco, che posso dire di aver vissuto. All’interno di questo dato di realtà c’è, innestato, tutto un aspetto che pertiene al mio mondo interiore, al mio modo di affrontare un senso d’inadeguatezza alla vita, una specie di disperazione, che avrei potuto collocare anche in una storia di ferrovieri, se avessi mai guidato un treno».
Quest’anno narrativo è ricco di libri sul rapporto genitori-figli, da Serra a Scurati è un lungo elenco. Il suo Mino è un alieno che hanno dimenticato di riprendere e per questo non vi capivate, uno sdraiato o uno dei tanti adolescenti di oggi programmati per far impazzire le madri?
«Questo Mino è un oggetto d’amore, ma, per sua natura, perennemente fuori fuoco, sempre troppo vicino o troppo lontano dall’occhio materno che lo osserva, lo cerca, ma non lo cattura. E’ una parte del sé che si separa (come tutti i figli), incarna allo stesso tempo il dolore di una separazione (necessaria) e il fastidio intollerabile(ma salutare) del conflitto che si genera quando due persone non sono la stessa persona. In questo libro cito la Natura. La Natura è davveromatrigna».
Valentina Diana
Valentina Diana
Sarà vero come dice Gi, che i figli devono amare la madre per forza?
«I figli devono amare la madre. Sì. E’ conveniente che sia così, bisogna fare il possibile perché sia così, perché sia loro possibile farlo. Non è facile».
Leggendola il ritmo del teatro è forte in ogni pagina. Alcune volte usa il discorso diretto, altre l’indiretto e altre ancora gli incisi in corsivo. Come Flaubert ha letto il testo ad alta voce, l’ha recitato, per sentire come suonava?
«Grazie per l’accostamento lusinghevole. In generale non leggo a voce alta mentre scrivo. Anzi, devo fare molto silenzio per non disturbare, io sono uno spettatore, il teatro è dentro. Una volta scritto leggo a voce alta, a qualche amico, ma soprattutto per ragioni di ritmo, per controllare che l’andamento ritmico interiore sia stato rispettato. Per questo uso la punteggiatura in modo poco ortodosso, un po’ burino, questo mi viene molto dal teatro, perché ragiono principalmente per pause organiche, di respiro o, a volte, di tensione relazionale o interiore».
Smamma è un libro catartico?
«No. È un libro messianico».
E infine una constatazione per tutti i genitori. Il lieto fine, come dice Gi, è la fine dell’adolescenza?
«Mi viene da dire che il lieto fine è una linea d’orizzonte. La nostra vita è piena di lieti fini che non vediamo neanche più, perché la nostra vita e la nostra mente si sono nel frattempo impegnati, impelagati, in altro mare, mosso».
Francesco Musolino®

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