ho provato a raccogliere le parole per strada
le parole cadute ad altri, buttate via
per non lasciarle sole
dato che le parole perdute sono le più importanti
ed è bene raccoglierle come fossero tue
perché non ne hai altre
quello che non ti appartiene ti rispecchia
perché quello che non ti appartiene è integro
e puro. finché non lo tocchi
finché le tue dita non lo disfano come
le ali delle farfalle
che il solo sfiorarle
le fa essere polvere
le fa non esistere
e tutto questo dovrebbe insegnarci qualcosa
ma non si sa se è poi vero
perché non si sa se noi siamo nati
per imparare qualcosa.
o forse semplicemente non c’è un bel niente
da imparare.
tutto quello che è al nostro servizio
è lì per essere guardato consumarsi.
lo spettacolo del consumarsi
a nostro completo beneficio
serve dunque a questo?
a darci una via di uscita, una lettura
una chiave di lettura
sul nulla intessuto su un lenzuolo di nulla
e dunque, se non ci fosse altro,
si potrebbe almeno dire che
il nostro guardare attesta il consumarsi di qualcosa
a beneficio di qualcos’altro
che poi muore.
lo spettacolo del consumare a proprio beneficio
e del morire.
ecco, più di così non si sa cosa ci sia
e perché dovrebbe esserci altro?
perché il nostro piccolo universo dovrebbe dilatarsi oltre?
non si capisce.
ci piace restare dentro le cose, a chiederci dei piccoli perché
commisurati allo spavento che ogni perché si porta dentro
e intorno.
ma il punto di domanda è un’arma a doppio taglio.
si dice a doppio taglio?
ora, solo ora mi rendo conto che non sono sicura che esista
che possa esistere un’arma a doppio taglio.
un’arma che ferisca e produca, allo stesso tempo, ferite in chi la usa
in chi offende e in chi ne è offeso.
ma forse invece tutte le armi sono così.
tutto qua.
si potrebbe dire tutto qua?
io non lo so.
come ti dico, ogni volta che sono stata chiamata a dire qualcosa
ho semplicemente raccolto le parole
mi sono chinata a raccogliere parole
trovate sul fondo.
le parole non mi sono mai appartenute
perché non sapevo né da dove venissero
né a chi appartenessero.
se fossero cadute
se fossero cadute a me o a chi altro.
io le ho solo sempre raccolte e tenute insieme
quando cerchi qualcosa lo puoi trovare qui
oppure da un’altra parte.
quando perdi qualcosa, lo puoi trovare qui
oppure da nessun altra parte.
la maggior parte delle volte la maggior parte delle cose che accadono
a cui diamo un senso, a cui diamo un’interpretazione e uno spirito
a cui attribuiamo un’intenzione e una direzione
accadono per caso.
il caso poi, viene sistematicamente trasformato
facendolo passare attraverso dei tubi e delle turbine
o dei sistemi elettrici o cose ancora più complicate
in qualcosa di più accettabile.
un destino o, ancora peggio
una scelta.
ci sono solo sassi. piccoli sassi a terra
caduti o portati dal fiume o dal vento
rotolati giù dalle montagne
per ragioni che non si sanno e non si sapranno mai.
e noi, questo mistero, non lo possiamo capire
e non possiamo capire che in questo
e quanto
e solo in questo
sta la bellezza
del silenzio.
le parole cadute ad altri, buttate via
per non lasciarle sole
dato che le parole perdute sono le più importanti
ed è bene raccoglierle come fossero tue
perché non ne hai altre
quello che non ti appartiene ti rispecchia
perché quello che non ti appartiene è integro
e puro. finché non lo tocchi
finché le tue dita non lo disfano come
le ali delle farfalle
che il solo sfiorarle
le fa essere polvere
le fa non esistere
e tutto questo dovrebbe insegnarci qualcosa
ma non si sa se è poi vero
perché non si sa se noi siamo nati
per imparare qualcosa.
o forse semplicemente non c’è un bel niente
da imparare.
tutto quello che è al nostro servizio
è lì per essere guardato consumarsi.
lo spettacolo del consumarsi
a nostro completo beneficio
serve dunque a questo?
a darci una via di uscita, una lettura
una chiave di lettura
sul nulla intessuto su un lenzuolo di nulla
e dunque, se non ci fosse altro,
si potrebbe almeno dire che
il nostro guardare attesta il consumarsi di qualcosa
a beneficio di qualcos’altro
che poi muore.
lo spettacolo del consumare a proprio beneficio
e del morire.
ecco, più di così non si sa cosa ci sia
e perché dovrebbe esserci altro?
perché il nostro piccolo universo dovrebbe dilatarsi oltre?
non si capisce.
ci piace restare dentro le cose, a chiederci dei piccoli perché
commisurati allo spavento che ogni perché si porta dentro
e intorno.
ma il punto di domanda è un’arma a doppio taglio.
si dice a doppio taglio?
ora, solo ora mi rendo conto che non sono sicura che esista
che possa esistere un’arma a doppio taglio.
un’arma che ferisca e produca, allo stesso tempo, ferite in chi la usa
in chi offende e in chi ne è offeso.
ma forse invece tutte le armi sono così.
tutto qua.
si potrebbe dire tutto qua?
io non lo so.
come ti dico, ogni volta che sono stata chiamata a dire qualcosa
ho semplicemente raccolto le parole
mi sono chinata a raccogliere parole
trovate sul fondo.
le parole non mi sono mai appartenute
perché non sapevo né da dove venissero
né a chi appartenessero.
se fossero cadute
se fossero cadute a me o a chi altro.
io le ho solo sempre raccolte e tenute insieme
quando cerchi qualcosa lo puoi trovare qui
oppure da un’altra parte.
quando perdi qualcosa, lo puoi trovare qui
oppure da nessun altra parte.
la maggior parte delle volte la maggior parte delle cose che accadono
a cui diamo un senso, a cui diamo un’interpretazione e uno spirito
a cui attribuiamo un’intenzione e una direzione
accadono per caso.
il caso poi, viene sistematicamente trasformato
facendolo passare attraverso dei tubi e delle turbine
o dei sistemi elettrici o cose ancora più complicate
in qualcosa di più accettabile.
un destino o, ancora peggio
una scelta.
ci sono solo sassi. piccoli sassi a terra
caduti o portati dal fiume o dal vento
rotolati giù dalle montagne
per ragioni che non si sanno e non si sapranno mai.
e noi, questo mistero, non lo possiamo capire
e non possiamo capire che in questo
e quanto
e solo in questo
sta la bellezza
del silenzio.
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