giovedì 22 ottobre 2015

per un qualcosa





Prima, ossia, molto prima, da quando si nasce fino a un certo punto (quando?), si è talmente rapiti dalla realtà, la realtà è attanagliante, una scoperta continua. I neonati vivono in stato di allucinazione permanente, ogni accadimento è fonte di stupori sonori e accecanti, freddi e caldi, schioccanti, perché il nesso causale tra gli eventi non si è ancora imbullonato. I neonati hanno dentro gli occhi una fame di ali grigie di farfalle gialle, di cieli movimentati a stantuffo, di odore di pioggia non ancora caduta e file di piccole formiche trasportanti briciole. Quella fame fa di loro degli osservatori assoluti, e privi di giudizio. Il giudizio arriva quando la fame si estingue. Qualcuno ti spiega che quello che hai visto è dappertutto da secoli, già visto. Allora il piccolo comincia a dare i nomi a tutto quello che non è più magico e li mette nel catalogo. Poi cresce. E va al mare. Legge il giornale.  Raccoglie la cacca del cane. Scuote la testa quando sente di doverlo fare. Butta e compra calendari.

Solo ciò che è rimasto senza nome, dimenticato, omesso, sfuggito alla coagulazione, resta in attesa, acquattato per anni, decenni, prima di rivelarglisi. Per un dono tardivo, accade, che occhi ormai velati di stanchezza, occhi che hanno già visto tutto, si riempiano di grazia all'improvviso, per un qualcosa. 

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